GIUNONE E VESTA

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    VERITAS VOS LIBERAT
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    GIUNONE



    In Greco Era (=sovrana), figlia di Saturno e di Rea, fu sposa di Giove.
    Secondo alcuni mitologi fu allevata a Samo, dove andò anch'essa sposa a Giove, tanto che l'isola si chiamò Partenia (da Partenos = vergine).
    Altri dicono che fu allevata nell'Oceano da questo dio e da Teti.
    Secondo una favola, Giunone non voleva sposare Giove, ma inseguita da lui, un giorno si rifugiò in casa di un certo Achille, il quale riuscì a persuaderla a sposare il padre degli dei.
    Un'altra favola dice che Giove si trasformò in cuculo e che fingendosi intirizzito dal freddo andò a rifugiarsi tra le braccia della dea, che stava sdraiata sopra un prato. Comunque lo sposò e invitò al convito di nozze tutti gli dei, gli uomini e gli animali. L'unica a mancare fu la ninfa Chelone, che per punizione fu trasformata in tartaruga.
    Giunone è il prototipo della moglie gelosa, superba, attaccabrighe e vendicativa, sicchè non ebbe mai pace con Giove e perseguitò crudelmente le dee e le donne da questi amate, e i figli nati da tali amori.
    Dal suo matrimonio con Giove la dea ebbe tre figli: Marte, Vulcano ed Ebe, dea della giovinezza.
    Una volta Giove la scacciò dall'Olimpo, ed ella si rifugiò a Samo, rifiutandosi di pacificarsi col marito. Allora Giove fece spargere la voce che egli stava per sposare Platea, figlia di Asopo, e fingendo di trasportare la nuova sposa, pose una statua sopra un carro.
    Allora Giunone inviperita si scagliò sul carro e credendo di uccidere la rivale fece in pezzi la statua. Allorchè si avvide che si trattava di uno scherzo, rise, fece la pace col marito e ritornò sull'Olimpo. Quando gli dei si ribellarono contro Giove, alla ribellione presa parte anche lei.
    Ma Giove per punizione le cinse le braccia con una catena d'oro e l'appese alla volta del cielo con due pesanti incudini legate ai piedi. La liberò suo figlio Vulcano, quando gli fu promessa in sposa Venere.
    La ragione per cui anche Giunone si era unita ai Titani e agli dei contro Giove fu il dispetto che aveva provato vedendo Epafo, figlio di Giove e di Io, diventato re. La povera Io, tramutata in giovenca e tormentata dall'assillo, fu affidata ad Argo, mostro dai cento occhi.
    La vendetta di questa dea era inesorabile; per vendicarsi del giudizio di Paride, che aveva preferito Venere a lei, suscitò la guerra di Troia.
    Giunone prendeva gli appellativi di iterduca e domiduca, perchè accompagnava la sposa alla casa del marito; si chiamava anche Unctia, perchè la sposa ungeva i cardini della porta dello sposo.
    Presiedeva anche ai parti.
    Come quello di Giove, il culto di questa dea era diffusissimo nell'antichità.
    Si diceva che a Cartagine fossero conservati in un tempio il suo carro e le sue armi.
    Un altro famoso tempio Giunone lo aveva ad Argo. A Roma aveva un tempio sul Campidoglio sotto il nome di Giunone Moneta (da monere) per l'aiuto da lei dato ai Romani durante la guerra contro gli Aurunci. Un altro lo avevo sull'Aventino, eretto da Camillo e un altro sul mercato delle erbe consacrato da Caio C. Cetego.
    Giunone era chiamata anch'ella con molti epiteti secondo i suoi attributi e i luoghi dove era adorata: Argiva, Calendare, Caprotina, Cinzia, Egeria, Lucina, Regina, Saucia, ecc.
    Gli uccelli a lei sacri erano il pavone e l'oca.




    VESTA



    In Grecia Hestia, era una divinità che veniva spesso confusa con Cibele e con la Terra; era moglie di Urano e madre di Saturno; in Roma invece Vesta era considerata figlia di Saturno e di Rea ed era la dea del focolare.
    Quando il padre Saturno perdette il trono, Vesta ottenne da Giove di avere tutto ciò che avesse desiderato.
    La dea chiese di rimanere vergine e che gli uomini le immolassero le loro primizie.
    Vesta è una divinità antichissima; già a Troia esisteva il suo culto, e da Enea fu introdotta in Italia.
    Presso i Romani fu molto onorata, perchè rappresentava il focolare e perciò la famiglia.
    Nel suo tempio stava acceso un fuoco che doveva essere tenuto sempre vivo; ed era considerato come una grande calamità il fatto che si spegnesse.
    Dapprima non aveva statue e nei suoi templi si custodiva solo, col fuoco, un altare su cui si compivano i sacrifizi.
    La causa della non molto frequente rappresentazione della figura di Vesta nella statuaria, è in parte espressa da Ovidio nel sesto dei Fausti, dove, parlando di un tempio di Vesta a Roma, aggiunge: “Per lungo tempo credetti io stoltamente che vi fossero statue di Vesta; ma poi appresi che, sotto la curva cupola, non vi sono punte statue. Un fuoco sempre vivo solo si cela in quel tempio, e Vesta non può essere effigiata, come non lo è neanche il fuoco”.


    Tratto da Dizionario di Mitologia classica di F. Perri Ed. Garzanti
    IMMAGINI: Women of Mythology: The Art of Howard David Johnson
    www.howarddavidjohnson.com/mythic-women.htm

    Edited by lisistrata - 17/7/2013, 13:04
     
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