EURICLEA

Odissea

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  1. Ulisside
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    EURICLEA, CANTO XIX


    Euriclea è uno dei personaggi ombra dell’Odissea ma, in luce o meno, anche lei ha tanto da insegnarci forse anche più di tutte le prime donne che popolano il poema.
    Chi era questa donna?
    Nell’Odissea si racconta che Laerte, padre dell’astuto Ulisse, acquistò la giovanissima fanciulla per venti buoi. All’epoca Euriclea era giovane, bella e servizievole e Laerte, che non per niente era un altro bell’eroe che ai suoi tempi aveva navigato a fianco di Giasone, aveva giustamente intuito che le doti della fanciulla non andavano sprecate per "questioni carnali" e preferì non sposarla (tale padre e tale figlio).
    Euriclea, come dice lo stesso prefisso Eu-, era una donna buona, benevola e capace di cose buone, di fare bene le cose: il curriculum perfetto per diventare la nutrice del figlio dell’argonauta e custode fedele della casa di Ulisse...ma sarebbe più corretto dire casa di Penelope, vista la dromomania del consorte.

    La parte dell’Odissea che riguarda questa donna si inserisce nel diciannovesimo canto. Per chi non sapesse tutta la storia, urge un piccolo riepilogo: dopo aver salutato la bella e dolce Nausicaa, Ulisse rientra finalmente nella sua rocciosa Itaca. Se il racconto fosse finito così non sarebbe stato degno di giungere fino ai nostri giorni quindi ci ritroviamo Itaca infestata da cani e Proci e con Ulisse che deve assolutamente rimandarli alle rispettive case (in realtà saranno tutti mandati alle rispettive tombe).
    Grazie all’aiuto della sua protettrice, la dea dagli occhi lucenti, la saggia Atena, Ulisse si trasforma in un mendicante, vecchio e malandato e,da bravo bugiardone qual è, si diverte parecchio e riesce ad ingannare tutti circa la sua vera identità.
    Perfino la fedele Penelope ci casca, la donna che più di ogni altro lo amava, lo conosceva e gli era stata accanto.

    E adesso torniamo ad Euriclea. Gli anni sono passati e la fanciulla era diventata una saggia signora quasi del tutto cieca. E’ sempre stata fedele alla casa dove serviva, il classico stereotipo della casalinga dalle mani fatate che con ligio rigore impone l'ordine.
    La sua laboriosità si conciliava ad un’estrema semplicità mentale e purezza d’animo. Usava le mani Euriclea insomma, con quelle era molto brava, meno invece per la conversazione. Forse oggi si direbbe una donna ignorante, ma ricordiamoci che chi “ignora il sapere” non è uno stupido, tutt'altro. Le persone semplici sono “i puri di cuore”, chi con integrità riesce a vedere e comprendere facilmente cose che ad altri apparentemente più dotti sono difficili da scorgere; perchè il sapere fa perdere innocenza, la chiave d'accesso a tutto.


    Succede allora che la nutrice inizia a lavare gli sporchi e rugosi piedi al finto barbone e, senza comprenderne il perché, si innervosisce. Lava i piedi in ginocchio nonostante la sua età e si permette di parlare. Ma c’è qualcosa in quell’uomo che fa battere il cuore alla donna. Lei inizia a emozionarsi tanto. C’è qualcosa in quel vagabondo, più di qualcosa che gli ricorda “suo figlio”.

    Mentre la donna continua a descrivere il suo padrone disperso per il mare, descrive allo stesso Ulisse di come gli somigli dalla voce, dai modi e persino dai piedi; a questo punto Ulisse diventa crudele e, pur di non ammettere la resa, cerca di sviare la sempre più illuminata nutrice e continua la sua recita anche se più che angosciato.
    Ma i giochini psicologici dell’eroe poco effetto avevano su una mente alta come quella della buona e fedele Euriclea. Ulisse poteva ingannare sacerdoti e re ma non l’Amore della sua nutrice. Come se non bastasse, sempre con le mani Euriclea sale su fino alla caviglia e mette fine alla messinscena: la caviglia di Ulisse aveva una cicatrice, un segno lasciato da un cinghiale durante la sua primissima battuta di caccia e a quel punto fu impossibile per la dolce madre trattenere le lacrime.
    La semplicità a volte è disarmante e Ulisse cerca di recuperare in fretta, le tappa le labbra, le spiega tutto in pochi secondi.
    Quella roccia di donna riprende il senno, si asciuga le lacrime - il servizio al suo padrone prima di tutto! - e si ricompone. Certo non finisce qui, se il suo padrone combatte è ovvio che lei gli starà accanto e ha già preparato una bella lista di nomi da dovergli consegnare, stilate negli anni della sua assenza così, giusto per non sprecare tempo e agevolare il lavoro al vero re di Itaca al momento del suo rientro.

    Questo canto è davvero importante e la protagonista è Euriclea: un personaggio che si nasconde perché il suo è un messaggio "superiore".
    Lo scrive bene Luciano de Crescenzo nel suo libro “Nessuno”:

    “In questo canto, come nel diciassettesimo, fa pensare il fatto che gli unici esseri che riconoscono Ulisse siano i più semplici, ovvero il cane Argo e la nutrice Euriclea. Argo riconosce il suo padrone con l’odorato, Euriclea con il tatto. Ambedue però, sono quasi ciechi e, con ogni probabilità, anche i meno intelligenti, quasi che la vista (il più utile dei nostri sensi) e l’intelligenza ( la più utile delle nostre qualità) fossero non già una dote, ma un ostacolo alla conoscenza.”



    Grazie ad Euriclea per questo.

    Ulisside

    Edited by °Mirana° - 7/4/2013, 21:52
     
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